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L’uso del carbone di legna si limitava, nelle abitudini della nostra comunità, alla alimentazione di fornelli e bracieri da trasportare nei locali diversi da quello della cucina – principalmente le camere da letto – per il loro temporaneo riscaldamento, mentre il combustibile di base era costituito universalmente dal legno. Ciononostante la produzione del carbone appare tra le attività comunitarie già dal periodo medievale, dove troviamo attestata nelle boscaglie la presenza di carbonaie –“e’ carbunée”fabbricate e gestite dai – forse improvvisati  – carbonai – “i carbunìn”. L’attività era giustificata dal fatto che essa rappresentava una fonte di reddito, resa possibile da una richiesta del prodotto sul mercato rivierasco e cittadino, che consentiva di monetizzare – operazione sempre difficilissima al tempo – una attività legata al mondo agrario. La carbonaia veniva realizzata all’interno dell’area boscata individuata come più idonea e di possibile intervento verificandone la possibilità sulla base degli statuti rurali, prima, o delle leggi forestali, poi (ricordiamo che i capitoli degli  Statuti Rurali della nostra comunità prevedevano severe norme di salvaguardia per gran parte dei boschi, proibendo esplicitamente la preparazione del carbone). La costruzione di una carbonaia prevedeva diverse tappe: preparazione dello spiazzo, taglio del legname, trasporto dello stesso, edificazione della catasta e, infine, la fase di “cottura”.

Come già accennato in precedenti comunicazioni, nell’ambito delle attività museali perseguite dal Muvel rientra quella sviluppata in collaborazione con l’Università di Oviedo (Galizia) avente a tema un’indagine archeologica sul territorio castiglionese finalizzata allo studio dell’evoluzione storica dell’attività di produzione del carbone di legna e di eventuali affinità con la medesima pratica in territorio galiziano. La ricerca è seguita anche dalla professoressa Anna Stagno archeologa dell’Università di Genova.