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Gran parte della vita quotidiana della comunità contadina tradizionale era regolata dall’osservanza di consuetudini e usi e permeata di credenze popolari tramandate dalla tradizione. In modo particolare si trattava di consuetudini relative alla disciplina di diritti agricoli, sia a livello   “particolare” che “comune”, delle quali, in alcuni casi, resta ancora labile traccia, specie fra le famiglie rimaste più strettamente legate alla tradizione.   

Per iniziare, in applicazione dei “Capitoli ” statutari relativi alla salvaguardia delle terre, fossero queste “comuni” o private, nel caso in cui i responsabili del danno non potessero essere individuati, era tenuta al risarcimento l’intera comunità della “ villa” in cui si era verificato il fatto. Per interventi di carattere pubblico, quali periodiche manutenzioni di strade ,ecc.,era consueto reperire la manodopera fra gli uomini della comunità, che erano tenuti a prestare gratuitamente la loro giornata.  Chi vi sottraeva senza giustificato motiva veniva “ messo all’altare”, cioè pubblicamente citato durante la messa  “in occasione di maggior ricorrenza di popolo”. Era poi consuetudine astenersi rigorosamente dal lavoro nei giorni di festa di precetto; la mancata osservanza di questa regola veniva punita dalle norme statutarie, ed il reato era addirittura registrato nel libro delle condanne criminali.  Ancora per tutto il secolo XVIII nella nostra comunità (come, d’altra parte, su tutto il territorio genovese) l’edificio della chiesa era considerato “luogo immune” e al suo interno usavano rifugiarsi i ricercati e perseguitati per sottrarsi, almeno temporaneamente, alla cattura. Un ruolo fondamentale svolgevano poi le campane delle chiese delle varie “ville”, alle quali si faceva per consuetudine ricorso quando occorreva radunare la popolazione sia in occasione di esecuzione di opere pubbliche, sia per le periodiche rassegne di addestramento delle milizie locali, sia, infine, nei casi di immediato grave pericolo.  Era consuetudine che all’inizio dell’autunno – generalmente nel mese di ottobre – il Podestà si recasse nelle varie “ville” per effettuare la “questua delle castagne”, dove le famiglie contadine davano come donativo al giusdicente alcune libbre di castagne, che egli raccoglieva con l’aiuto di un uomo.  

Mondo sterminato quello delle credenze popolari e delle superstizioni, variabile da frazione a frazione e da epoca a epoca e avente come unica fonte di riferimento la memoria popolare e la tradizione orale, che permette di risalire non oltre la metà dell’Ottocento. Ricordiamone, a titolo di esempio, alcune, di queste credenze: le cause di mali di natura sconosciuta erano attribuite agli “spiriti” e contro di essi si ricorreva alla guaritrice –“a strolica” – presente in quasi tutti i villaggi, che provvedeva, con tutta una serie di rituali, a liberare il malato dal maleficio che causava l’infermità.  Esisteva pure la credenza che il vento potesse essere maschio o femmina; se era maschio, cioè “un vento”, durava tre giorni, se invece era femmina, e allora era “una venta”, avrebbe soffiato ininterrottamente per nove giorni.

Il Museo conserva, nel suo archivio – in parte tratte dalla memoria popolare e in parte dalla documentazione reperita – una considerevole quantità di testimonianza riguardanti questi temi, e fruibili anche atraverso video.